Una delle principali cause del sovrappeso è che si mangia troppo o che si mangia male.
Quando l’organismo accumula calorie, in parte le trasforma in energia e in parte le trasforma in grassi. L’eccesso di grasso si ha quando si introducono più calorie di quelle che si consumano. In questi casi si parla di uno squilibrio energetico. Le principali fonti di calorie sono lipidi e glucidi. Un regime alimentare che eccede nell’uso di zuccheri e grassi porta quasi inevitabilmente all’aumento di peso.
Ma dietro una fame eccessiva a volte, o meglio, spesso, ci possono essere problemi tipo lo stress o una “difficoltà ad accettare la propria immagine“. Ci sono anche fattori, come il fumo, il consumo eccessivo di alcol e l’uso di alcuni farmaci, che contribuiscono all’aumento del peso e ne rendono difficile lo smaltimento.
Anche una scarsa attività fisica è un fattore di rischio per il sovrappeso. Il movimento aiuta a bruciare i grassi in eccesso e ad aumentare la massa magra, cioè la muscolatura, rispetto alla massa grassa. Infatti, migliora il metabolismo basale, che è l’energia che l’organismo spende per compiere le sue funzioni vitali ed è più della metà dell’energia spesa ogni giorno.
Il sovrappeso, e soprattutto l’obesità, possono avere anche altre origini. Per esempio, possono esserci disfunzioni della tiroide. La tiroide è una ghiandola che produce alcuni ormoni che regolano il metabolismo. Un mal funzionamento della tiroide può rallentare il metabolismo.
Nelle persone con medio o forte sovrappeso l’alimentazione rappresenta una modo per attenuare stati d’ansia e depressione, per risolvere le frustrazioni e delusioni e per gratificare se stessi. Così a lungo andare l’introduzione di cibo non è più regolata dai “sensori” della fame e della sazietà, ma anche dagli stati emotivi, producendo un aumento di peso.
La dipendenza da cibo può essere ancora più difficile da affrontare rispetto alle dipendenze “classiche”, poiché il soggetto non può certo smettere di mangiare, e non vi è alcuna difficoltà nell’approvvigionamento di tale sostanza.
Quando il cibo viene usato come valvola di sfogo, come rifugio, come sostanza che allevia le sofferenze vissute durante la giornata, la difficoltà nel ridurlo diventa spesso immensa! Man mano che la persona vede aumentare il proprio peso, perde progressivamente la propria autostima a causa dei vari fallimenti nei classici tentativi di migliorare il proprio aspetto.
Chi mangia per sentirsi su, in genere è una persona che tende alla ipoglicemia, chi mangia in continuazione per i crampi allo stomaco è una persona che tende a somatizzare i problemi e soffre di ansia o di una scarsa resistenza allo stress. L’eccesso di peso può peggiorare malattie già esistenti come le cardiopatie, gli scompensi renali, il diabete, la ipertensione, può causare complicazioni in gravidanza e problemi psicologici.
Altre importanti cause del sovrappeso sono i problemi ormonali, la malnutrizione, la tensione emotiva, la noia, l’abitudine. Una alimentazione non adeguata, porta all’eccesso di peso, in quanto l’assunzione delle sostanze nutritive è inadeguata ed il grasso non può essere bruciato efficacemente e completamente. Anche i disturbi al fegato sono comuni tra le persone in sovrappeso. Quando il fegato ha problemi, è incapace di sintetizzare una quantità sufficiente di enzimi produttori di energia.
Una alimentazione equilibrata deve contenere tutte le sostanze nutritive, l’eliminazione di una sostanza può essere dannosa per l’organismo, come ad esempio l’eliminazione dei carboidrati, provocando uno notevole scompenso metabolico. I carboidrati vanno assunti sotto forma di cereali integrali. Il grasso in eccesso è difficile da metabolizzare e può disturbare le funzioni del fegato e dei reni, in generale per perdere peso basta diminuire la quantità del cibo ingerito, preferendo la qualità ed aumentando la attività fisica quotidiana.
Per riuscire a dimagrire è pertanto consigliabile, per non dire necessario, modificare l’alimentazione e lo stile di vita, lasciarsi morire di fame non è una soluzione! Il nostro organismo ha dei meccanismi di difesa contro la riduzione eccessiva di cibo, ovvero rallenta drasticamente il metabolismo, per evitare le conseguenze della denutrizione, quando si ha una dieta troppo povera di calorie, e se successivamente si riprende a mangiare normalmente il metabolismo rallentato , provoca un rapido aumento di peso.
Per dimagrire correttamente, occorre una dieta nutriente ma calorica ed e’ necessario fare del movimento, altrimenti è estremamente difficile riuscire a dimagrire in modo permanente ed a mantenere il proprio peso forma. La cosa essenziale da fare per riuscire a dimagrire e’ quella di variare soprattutto il tipo di alimenti. In genere le diete non funzionano perché si tende a ridurre la quantità di cibo senza migliorare e cambiare la qualità del proprio metabolismo.
Per riuscire ad ottenere un buon risultato è consigliabile focalizzarsi su tutto ciò che può portare la persona ad avere una maggiore autostima e una immagine positiva di sé. In genere ci sono degli atteggiamenti discriminanti nei confronti delle persone grasse e quindi la persona che ha questo problema, può cadere in un circolo vizioso dovuto alla mancanza di accettazione di se stessa. Se ci si sente meglio con se stessi e’ più facile modificare le proprie abitudini alimentari.
Senza perdere di vista le eventuali patologie che chi si trova in sovrappeso può avere, è importante capire che la soluzione di qualunque problema è dentro di noi, in quanto solo noi siamo responsabili di quello che mangiamo, è bene fare delle scelte più sane, la gran parte di quello che mangiamo è condizionato dai mass media e dall’abitudine… e da altri aspetti più “interiori”. E’ necessario fare uno sforzo consapevole per scegliere la salute, e solo allora si scoprirà di essere capaci di iniziare un programma benessere ottenendo buoni risultati.
Se si migliora il rapporto con se stessi, si potrà raggiungere qualsiasi obiettivo.
Quando ci si pone davanti ad un obiettivo non vanno mai usate parole negative, occorrerà affermare che si desidera mangiare cibi sani e nutrienti, bisogna cominciare con le piccole cose che contribuiranno a fare la differenza, con obiettivi facilmente raggiungibili; l’obiettivo va definito al presente e non al futuro, bisogna credere di averlo già a portata di mano, come se lo si fosse già raggiunto.
Vi siete mai chiesti come mangiava l’uomo primitivo? Cosa si mangiasse prima, quando non esistevano cotolette, merendine, biscotti e pizze?
Oggi sentiamo parlare di tante diete in circolazione: vegetariana, vegana, fruttariana, crudista, macrobiotica, carnivora ecc… Ma per natura come dovremmo mangiare noi esseri umani?
L’uomo – come confermato da aspetti anatomici, morfologici e fisiologici – sembra essersi evoluto privilegiando una dieta onnivora (che comprende alimenti di origine animale e vegetale, cotti o crudi che siano).
A dimostrazione della nostra natura onnivora abbiamo:
la tipica dentatura eterodonte, ovvero con caratteristiche intermedie tra erbivori e carnivori, tipica di tutti i mammiferi;
lunghezza del tubo digerente a metà strada tra quello tipico di un carnivoro e di un erbivoro: in termini di lunghezza siamo più simili ai carnivori, in termini di superficie di assorbimento siamo più simili agli erbivori;
i nostri fabbisogni essenziali necessitano di sostanze presenti sia in alimenti di origine animale sia vegetale: sali minerali, vitamine, aminoacidi, acidi grassi ecc…
Ma allora… com’è possibile che alcuni mammiferi, addirittura primati come noi (es. il Gorilla), riescano a sopravvivere con un regime vegetariano?
La risposta è molto semplice… tutti gli onnivori tendono a seguire un regime vegetariano, perché è più facile procurarsi cibo vegetale, poiché quello di origine animale è difficile da procurare e, al giorno d’oggi, ha un costo ambientale e di mercato più elevato. Noi stessi tendiamo a consumare più pasta e pane, rispetto alla carne e al pesce.
Il caso del gorilla è stato preso di mira negli ultimi anni poiché usato come principio di base della DIETA VEGETARIANA; tuttavia dimentichiamo che il gorilla ha scelto, per comodità possiamo dire, di seguire un regime vegetariano-ENTOMOFAGO, ovvero basato sì sul consumo di vegetali ma anche sul consumo di insetti, che sono un’ottima fonte di proteine animali!
Evoluzione del comportamento alimentare
Si pensa che nel Paleolitico l’uomo fosse prevalentemente RACCOGLITORE (ovvero si nutrisse di frutti, semi, bacche, insetti, molluschi che raccoglieva), poiché non possedeva gli strumenti adatti per cacciare. Fu solo verso la fine del Paleolitico che l’attività di caccia da parte dell’uomo aumentò.
Nel Mesolitico cominciarono le prime forme di DOMESTICAZIONE e COLTIVAZIONE, le quali hanno determinato molti cambiamenti nella storia evolutiva dell’uomo, alcuni vantaggiosi e altri svantaggiosi:
cambia la qualità della carne e dei vegetali: da carne di selvaggina (povera di grassi saturi e ricca di grassi essenziali) a carne di allevamento (ricca di grassi saturi); allo stesso modo, da piante selvatiche a foglie verde (ricche di fibre e minerali) a “cereali” (poveri di minerali e fibre, ricchi invece di amido e zuccheri);
cambia lo stile di vita: da nomade, l’uomo diventa stanziale, cosa che facilita l’aumento della popolazione, dunque nuclei familiari più grandi;
per conservare i cibi coltivati/allevati l’uomo ricorre sempre più spesso alla cottura e, soprattutto, alla salatura. Comincia così nel neolitico la produzione di sale come mezzo di conservazione degli alimenti, cosa che nel tempo abituerà l’uomo al consumo di cibi sempre più salati.
Nel Neolitico si affermarono principalmente le coltivazioni di cereali, con un conseguente aumento del consumo di questi a discapito della carne. Questo si ripercosse inevitabilmente sulla salute dell’uomo poiché una dieta basata solo sui cereali ha molti svantaggi: è carente in aminoacidi essenziali, alcuni minerali e alcune vitamine. Nascono così le prime patologie da “carenza nutrizionale”.
Arriviamo all’età delle civiltà storiche:
Gli antichi Egizi basavano la loro alimentazione principalmente sulla coltivazione dei cereali (farro, frumento, orzo), sulla pesca e sull’allevamento di bestiame.
Greci e Romani seguivano invece un’alimentazione di origine vegetale (farro, frumento, orzo, pane), con proteine derivanti esclusivamente dall’attività di pesca. E’ in questo periodo che nasce il concetto di DIETA MEDITERRANEA, ovvero una dieta basata su cereali integrali e vegetali a foglia verde, con consumo raro di pesce, carne e altri derivati animali. Da attribuire alla civiltà romana è anche la nascita della “cultura culinaria”, contrapposta alla frugalità dei greci (ovvero alla moderazione nel cibo): diventa importante il modo e l’aspetto estetico di ciò che si mangia, dunque nascono le prime figure di cuochi professionisti e le prime ricette, usate soprattutto nei banchetti a cui partecipavano i nobili.
Le abitudini alimentari negli ultimi due secoli sono cambiate molto, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: cambia infatti l’introito calorico e il rapporto grassi/proteine/carboidrati:
1700-1800: alimentazione basata riso, mais e patate, ovvero su cereali raffinati e carboidrati ad alto indice glicemico. Il rapporto carboidrati/proteine/grassi è fortemente sbilanciato verso i carboidrati (75:11:14).
1800-1900: stesse proporzioni tra carboidrati/proteine/grassi , ma aumentano le quantità (poiché aumenta la disponibilità di cereali e farine) quindi c’è un progressivo aumento dell’introito calorico giornaliero.
1900-Oggi: l’introito calorico giornaliero complessivamente diminuisce (poiché si passa ad uno stile di vita sedentario e si ha meno bisogno di mangiare), tuttavia con l’affermarsi dell’era industriale la qualità del cibo subisce un cambiamento in NEGATIVO, caratterizzato da un’elevata presenza di grassi nocivi e farine raffinate e prive di nutrimento. Il rapporto carb/prot/grassi si sposta verso i grassi (44:14:42).
Se confrontiamo quindi l’alimentazione nel paleolitico e al giorno d’oggi vediamo che nel paleolitico si consumavano più proteine e meno grassi saturi (attività di caccia VS allevamenti intensivi); l’apporto di vitamine e oligoelementi derivanti dalla dieta era maggiore (cereali integrali VS cereali raffinati); si assumevano meno zuccheri semplici e sale e, infine, si assumevano molte più fibre.
Perché siamo continuamente minacciati dall’obesità?
L’avvento della domesticazione (sia animale che vegetale) è da ritenere uno dei più importanti progressi dell’uomo negli ultimi 13.000 anni, poiché ha incrementato la disponibilità delle risorse alimentari consentendo così l’aumento demografico e i processi di civilizzazione. Tuttavia, l’aumento demografico ha implicato a sua volta un maggior fabbisogno di risorse alimentari, determinando quindi la necessità di produrre carne e cereali in modo “intensivo”: nascono così gli allevamenti intensivi e le industrie alimentari, il cui scopo è quello di produrre “tanto cibo e a basso costo” a discapito della qualità.
Nel tempo si sono create quindi abitudini scorrette a causa della qualità degli alimenti in commercio, facendo sì che nel carrello della spesa finissero cereali sempre più raffinati (privi di fibre, minerali e vitamine), carni sempre più ricche di grassi saturi e cibi prodotti a livello industriale, ovvero a partire da materie prime di bassa qualità e ricche di conservanti/coloranti (e altre sostanze nocive per l’organismo).
A questo si aggiungono le innovazioni dell’arte culinaria, oggi in continua evoluzione, con le quali si va alla ricerca di cibi sempre più invitanti e appetibili seppur poco nutrienti, ricorrendo spesso all’utilizzo di prodotti forniti dall’industria chimica (es. sciroppo di glucosio, fecola di patate, zucchero invertito, grassi idrogenati e non, margarine, agenti lievitanti, lieviti chimici ecc…).
Aggiungiamo anche le mode cittadine degli happy hour, degli aperitivi e dei giropizza… tanto cibo a basso costo! Il tutto contornato da una buona dose di alcol per dare il colpo di grazia!
Che dire… nel giro di “pochi” anni (in termini di evoluzione) siamo stati proiettati in un mondo completamente opposto, dove la disponibilità di cibo è aumentata e non sappiamo più di che natura è il cibo che mangiamo: del chicco rimane solo lo zucchero perché più buono; della carne apprezziamo più il grasso che il sapore del magro (l’hamburger e i salumi si, la fettina magra no); la verdura è buona solo soffritta (dunque condita con grassi resi tossici); il pesce se non è fritto puzza; il formaggio non è più un’alternativa alla carne ma un fine pasto; il menù bambini, che dovrebbe essere il più nutriente, prevede pasta al pomodoro, cotoletta e patatine fritte.
Tuttavia il nostro genoma è lo stesso di 10.000 anni fa, quando dovevamo correre 40.000 km al giorno per accaparrarci cibo e quando le farine non erano ancora bianche.
Se poi ci aggiungiamo il fatto che nel corso di questi anni vi sono stati periodi di carestia che ci hanno selezionati in base alla capacità di accumulare grasso di riserva, possiamo dire che la destinazione è una sola: OBESITA’.
Conseguenze e patologie correlate
Oltre ad un aumento di peso, la cattiva alimentazione a cui siamo oggi “abituati” implica importanti (o gravi!) conseguenze sulla salute: alcune sono immediate (brufoli, dissenteria, stitichezza, gonfiore ecc…), altre rimangono silenziose e si manifestano con il passare degli anni (stanchezza, mal di testa, cellulite, colon irritabile, polipi intestinali, steatosi epatica, ipertensione, ipercolesterolemia, diabete T2), coinvolgendo anche organi che non “sembrano” coinvolti (cisti ovariche, polipi uterini, perdita di capelli, dermatiti, edemi), per sfociare poi in quella categoria di PATOLOGIE INFIAMMATORIE che oggi temiamo tutti… artrosi, osteoporosi, fibromialgia, morbo di Parkinson/ Alzheimer e tumori di varia natura.
Conclusione
Sorge spontanea una domanda… perché non si fa nulla per impedire tutto questo?
Gli interessi economici in gioco non facilitano uno scambio di informazioni onesto, né ricerche scientifiche coerenti, al punto che la maggior parte delle notizie riportate dalla stampa sono spesso controverse e confuse. Questo influenza enormemente le nostre scelte alimentarie, le quali finiscono dunque per essere dettate non da oggettività e razionalità ma da soldi e guadagni economici.
L’arma per combattere questo enorme vortice sta interamente nelle nostre mani: non possiamo sperare che le leggi del mercato cambino, dobbiamo agire noi per primi e INFORMARCI (prestando molta attenzione alla fonte di informazione), in modo da saper orientare le nostre scelte in maniera consapevole e non cadere in trappole promozionali, il cui scopo è solo un guadagno economico.
Il singolo non può cambiare il mondo, ma può cambiare se stesso!
Prendi 2.000 persone obese o anche solo in sovrappeso, età pari o superiore a 50 anni, e chiedi loro se negli anni successivi hanno intenzione di perdere peso, metterne o mantenersi stabili, organizzando un follow-up a 4 anni.Prevedi la compilazione di test clinici finalizzati a rilevare lo stato dell’umore, così da capire se il dimagrimento ha per caso avuto effetti significativi sugli stati emotivi, poi tiri le somme.
Lo hanno fatto in Gran Bretagna, presso la University College of London, pubblicando i risultati sulla rivista PLOS ONE. Ne vengo a conoscenza tramite un articoletto apparso recentemente nel web che attira la mia attenzione per il titolo a tratti sensazionalistico e nel quale si racconta che la perdita di peso sembrerebbe produrre l’effetto di una cambiale da saldare a suon di malumori.
Penso ai pazienti del Servizio di Psicologia di dNa Milano. Non me ne viene in mente mezzo che, a fronte di una perdita di peso, si strappi i capelli dalla disperazione! Vado dunque a cercare l’articolo originale. I curiosi in grado di masticare un po’ di inglese possono trovarlo qui.
Ebbene, come tutte le ricerche longitudinali, anche in questa il campione in esame non ha mancato di avere qualche difettuccio: chi aveva dichiarato di voler fare la dieta e poi s’è perso per strada non riuscendo a perdere un grammo, chi viceversa, chi s’è dimenticato negli anni di far parte di un panel di ricerca, eccetera. Non solo: ad aver perso peso sembrerebbe essere stato solo il 14% del campione totale, dunque 280 persone. Di queste, il 78% risulterebbe aver patito un peggioramento dell’umore (= 218): non proprio una tribù numerosa.
E ancora: quella connessione fra peggioramento dell’umore e perdita di peso. Gli autori stessi mi sembrano più possibilisti che definitivi, non mancando di chiedersi cosa nasca prima, se l’uovo (il peggioramento dell’umore) o la gallina (la perdita di peso), e mostrando una sanissima onestà intellettuale nell’ipotizzare la possibilità che sull’umore abbiano agìto eventi di vita stressogeni che nulla hanno avuto a che vedere con il regime alimentare seguito dalle persone.
Ma non finisce qui. Nell’articolo trovo un’insinuazione interessante (che tale rimane): sarà mica che il peggioramento dell’umore – osano i ricercatori – cominci a comparire solo dopo la fase iniziale di perdita di peso, in cui notoriamente si è sostenuti e incoraggiati e si comincia a perdere qualche chiletto? Quando cioè si è ormai in corsa e il sostegno comincia a vacillare?
Mi viene in mente che quando si parla di “dieta” – non solo negli articoli più o meno seri che possono trovarsi in giro ma anche e soprattutto negli studi di psicologia -, il “non ce la faccio se nessuno m’aiuta” è più diffuso di quanto si creda, e svela quanto ci sia di “relazionale” nel proprio rapporto col cibo. E per “relazionale” non intendo che, di fatto, fra sé e il cibo c’è una relazione. No: per “relazionale” intendo che il nostro rapporto col cibo c’entra, e parecchio, col rapporto che abbiamo con noi stessi, con gli altri, con l’esistenza che viviamo, nonché con tutti quei significati che a tutto questo attribuiamo e che hanno, appunto e di nuovo, natura relazionale. Mica bazzecole.
Per questo affermazioni come “perdere peso rende tristi” fanno saltare sulla sedia e sanno di poco.
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