Lo sapete che sempre più frequentemente ci sono persone con “ansia da svestizione” quando si ritrovano a mare o in piscina?!?
Sentono addosso gli sguardi della gente che c’è intorno, sono terrorizzati dalle critiche degli altri, ed ecco che la stagione più calda dell’anno, la più spensierata e la più divertente, finisce col diventare la più sgradevole.
Il sole contribuisce a calmare l’ansia e aiuta il benessere del corpo e della mente, ma spesso non basta, soprattutto se ci riferiamo a persone con ossessioni e complessi circa il proprio fisico. La società nella quale viviamo ci impone dei modelli di perfezione (attrici, modelle, calciatori, personaggi dello spettacolo e chi più ne ha più ne metta) troppo difficili da raggiungere per chi ha una struttura di sé debole: chi cerca approvazione dall’esterno si ritrova inevitabilmente ad avere a che fare con il pensiero secondo il quale il difetto fisico è un blocco verso l’affermazione della propria persona, ed entra in crisi nel momento in cui le proprie caratteristiche fisiche non combaciano con i propri canoni di bellezza.
La situazione diventa ancor più preoccupante quando esiste un importante rifiuto del proprio corpo: in casi di questo genere la persona arriva ad odiare il proprio fisico e non è capace di accettarsi, tanto meno di vivere relazioni con gli altri appaganti. La dismorfofobia è la fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio aspetto esteriore, causata da un’eccessiva preoccupazione della propria immagine corporea. Le conseguenze di questo malessere si possono riscontrare nei comportamenti che il dismorfofobico mette in atto: non va a mare o in piscina perché non vuole mostrare il proprio corpo, pensa e ripensa ai propri difetti, controlla il proprio fisico guardandosi in continuazione allo specchio, confronta il proprio aspetto con quello degli altri, ecc.
In che modo si possono ridurre questi disagi, così da poter vivere serenamente le vacanze estive?
I difetti che ognuno di noi possiede si possono affrontare lavorando sulla consapevolezza che innanzitutto un seno perfetto o delle gambe filiformi non garantiscono il trionfo della propria persona… e questo lo sottolineava anche una canzone di qualche anno fa che recitava “Donne, donne, oltre le gambe c’è di più…”. Inoltre, il giudizio o la critica degli altri possono interessarci, ma non dobbiamo basare il valore di noi stessi solo ed esclusivamente su ciò che ci arriva dall’esterno, anche perché siamo esseri molto più complessi e interessanti internamente. Sicuramente l’aspetto fisico è importante, è il nostro “biglietto da visita”: dobbiamo preoccuparci di alimentare il nostro corpo adeguatamente, dobbiamo coccolarlo, prenderci cura di lui. Ma ricordiamoci che la perfezione non esiste (..se non con Photoshop!) e che, nel momento in cui riusciamo ad accettare anche i nostri difetti, siamo più forti noi delle nostre insicurezze.
Se ci fermiamo a pensare che ognuno di noi in media trascorre 8 ore al giorno a lavorare, possiamo immaginare quanto possa essere faticoso dover gestire sensazioni spiacevoli legate al lavoro che facciamo. Infatti, che tu sia un lavoratore subordinato o un lavoratore autonomo, nulla ti esime dall’esperire frustrazione, scoraggiamento, ansia, rabbia, angoscia causate dalle continue pressioni lavorative o dalle difficoltà nel rapporto con i colleghi o con il proprio capo. A questa condizione è stato dato il nome di Stress da lavoro correlato: nello specifico, questo viene definito dall’European Agency for Safety and Healt at Work come la percezione di uno squilibrio avvertito dal lavoratore quando le richieste del contenuto, dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste. Questo malumore può manifestarsi a livello fisico con disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, disturbi sessuali, ecc oppure a livello psicologico con attenzione/ concentrazione ridotta, irritabilità, ansia, crisi depressive, autocritica esagerata, pessimismo e cattivo umore. Tutto ciò si esprime a livello comportamentale con tendenza all’isolamento, impazienza, irrequietezza, indecisione, impulsività e assenteismo o malattia.
Cosa possiamo fare nel momento in cui ci rendiamo conto che il malumore circoscritto al lavoro che svolgiamo si ripercuote inevitabilmente nelle altre sfere di vita, nel rapporto con il partner, i figli, gli amici, ecc, facendoci apparire scontrosi o al contrario solitari, evitanti?
Potremmo applicare una lente d’ingrandimento così da mettere a fuoco il problema e analizzare come ogni aspetto incide su di noi a livello emotivo. Nel momento in cui siamo più consapevoli possiamo mettere in atto determinate strategie come, ad esempio, cercare di affrontare direttamente l’origine del disagio, parlando e confrontandoci, se si tratta di un superiore o di un collega. Se invece ci rendiamo conto di “essere noi il problema” potremmo cercare di migliorare le nostre risposte a ciò che viviamo come minaccioso a livello lavorativo. Certo, con l’aiuto di un professionista come uno psicologo o uno psicoterapeuta, sarebbe più facilitante il percorso di “risanamento delle strategie di coping” che diventerebbero adattive, migliorando i nostri pensieri e le nostre emozioni…insomma la nostra parte di vita a lavoro e non solo. La migliore soluzione è quella di mettersi in gioco e avere la volontà di modificare una parte di noi, a prescindere dalle risposte che potremmo ricevere dagli altri!!! Se ci sono situazioni che viviamo con difficoltà almeno proviamo a cambiarle…e se da soli non ci riusciamo, qualcuno disposto a camminare con noi verso l’uscita dal labirinto esiste.