Le nuove abitudini alimentari dell’era industriale hanno determinato la comparsa di nuove patologie metaboliche fino a qualche decennio fa ancora sconosciute, prime tra tutte il sovrappeso e l’obesità.  Da pochi anni a questa parte, il peso corporeo ha assunto un ruolo preponderante nella ricerca sanitaria e ancora oggi ci sono molte incognite.

Fino a poco tempo fa si credeva che l’aumento di peso derivasse soltanto da uno squilibrio prolungato tra introito e dispendio energetico dell’organismo, mentre oggi è risaputo che vi siano importanti correlazioni tra alimentazione, sistema endocrino, sistema nervoso e, dunque, processi metabolico-enzimatici. Sulla base di questo, si cercano nuove condotte alimentari capaci di indurre situazioni neuro-ormonali che favoriscano fenomeni lipolitici.

Si è visto come, agendo sulla composizione quali-quantitativa della dieta, sia possibile modificare l’attività del sistema endocrino/nervoso, inducendo una situazione neuro-ormonale capace sia di regolare le reazioni metaboliche-enzimatiche sia, grazie ai meccanismi retroattivi insiti nel nostro sistema nervoso, di condizionare le scelte alimentari finalizzandole al mantenimento dell’omeostasi, nonché del peso corporeo.

Tuttavia, nel controllo del peso corporeo, oggi risulta determinante anche l’aspetto “morfologico-costituzionale” di un individuo, ovvero l’insieme dei caratteri morfologici legati prevalentemente all’ereditarietà e a situazioni metabolico-ormonali che rendono gli individui diversi tra loro. Si parla di biotipi costituzionali, studiati in oriente già da migliaia di anni e classificati per la prima volta da Ippocrate nel 400 a.C.

Di seguito cercheremo di mettere insieme i vari pezzi di questo enorme puzzle nel tentativo di capire come alimentazione e attività fisica debbano essere programmati in funzione di una presunta morfotipologia costituzionale, allo scopo di ottenere il controllo dell’appetito e del peso corporeo.

RUOLO DEL SISTEMA ENDOCRINO E DEL SISTEMA NERVOSO NELL’ALIMENTAZIONE

Le recenti scoperte riguardanti l’influenza reciproca tra alimentazione, sistema endocrino e nervoso ci aiutano a fare chiarezza sui meccanismi attraverso cui assunzione e composizione dei pasti siano in grado di influenzare il peso e la distribuzione del grasso di deposito, a seconda della condizione ormonale soggettiva. Per capire questi meccanismi, è necessario avere ben chiaro la complessa rete di informazioni che collega due dei sistemi di controllo più importanti: il sistema nervoso centrale e il sistema endocrino.

Il funzionamento del sistema endocrino è strettamente correlato al sistema nervoso, poiché l’ipotalamo, che agisce da centro di smistamento di tutte le informazioni raccolte (di diversa origine), elabora dei segnali e li trasmette (peptidi di rilascio) all’ipofisi, la quale rilascia altri peptidi diretti alle ghiandole periferiche (figura 1).

Figura 1. Schema riassuntivo dei principali ormoni prodotti dalla ghiandola pituitaria(ipofisi) e rispettivi bersagli.

Tutto questo ciclo di trasmissione ha un solo scopo: mantenere l’omeostasi, ovvero una condizione di equilibrio che assicuri lo svolgimento delle funzioni vitali della cellula e dell’intero organismo. Ma come collegare tutto questo all’alimentazione?

Grazie all’asse ipotalamo-ipofisi-ghiandola, l’organismo riceve informazioni riguardanti il suo stato nutrizionale (che deriva da una determinata alimentazione) e si orienta verso la scelta di nutrienti necessari al mantenimento dell’omeostasi, controllando di conseguenza le funzioni enzimatico-metaboliche. In poche parole, il cervello è in grado di dirigere il comportamento alimentare, qualitativamente e quantitativamente ma allo stesso tempo viene influenzato dai nutrienti stessi.

Se pensiamo dunque al sistema endocrino, pensiamo a un sistema biologico “oscillante” dove a determinare tali oscillazioni non è solo il fattore tempo ma anche il fattore alimentazione. Se la Cronobiologia da anni ormai studia le variazioni ritmiche nel tempo dei fenomeni biologici, è solo di recente che si cerca di capire come la composizione quali-quantitativa della dieta possa determinare situazioni neuro-ormonali che favoriscano determinati comportamenti metabolico-enzimatici. Capendo bene i meccanismi che correlano alimentazione e sistema nervoso/endocrino i quali, ricordiamo, controllano il metabolismo, è possibile individuare schemi dietetici qualitativi volti a modulare situazioni neuro-endocrine legate a sovrappeso e obesità.

BIORITMI ORMONALI ed EFFETTI SUL METABOLISMO

Fare chiarezza sulle oscillazioni temporali a cui sono sottoposti gli ormoni è importante per capire l’origine di particolari assetti metabolici che possono determinare fenomeni lipolitici o lipogenetici in risposta a uno schema dietetico (che sia esso bilanciato o sbilanciato).

Nei primi anni ’50 del secolo scorso nasce la cronobiologia (dal greco chrònos, tempo), una branca della biologia che si occupa delle variazioni ritmiche nel tempo dei fenomeni biologici, ovvero i bioritmi. I ritmi biologici seguono una curva sinusoidale che oscilla attorno a un valore mediano. La doppia curva si completa in un periodo di tempo ben definito, che può essere: un giorno (si parla di ritmi circadiani), una settimana (ritmi circasettani), un mese (ritmi circatrigintani), un anno (ritmi circannuali) e così via. Il ritmo circadiano è il componente fondamentale del nostro famoso “orologio biologico”, quel complesso meccanismo che regola i nostri ritmi vitali quotidiani in sintonia con l’ambiente esterno. È esattamente quello che ci fa aprire gli occhi sempre alla stessa ora la mattina, che ci sia o meno la sveglia, o che ce li fa chiudere sempre alla stessa ora la sera. Potremmo fare tantissimi altri esempi, perché questo orologio regola tutte le funzioni dell’organismo che oscillano in modo ritmico.

A generare questi ritmi “circadiani” troviamo in primis l’alternanza luce-buio che agisce sull’asse ipotalamo-ipofisi regolando direttamente (attraverso l’occhio e la vista) la secrezione di melatonina da parte della ghiandola pineale: di notte i livelli di melatonina aumentano e di giorno diminuiscono.

Figura 2. Il grafico rappresenta i ritmi di produzione della melatonina nelle 24h, in contrapposizione al Cortisolo.

Tutto ciò che interferisce con questi fattori determinanti rischia di alterare il nostro bioritmo circadiano (es. lavori notturni, cambio del fuso orario, elevata contaminazione da campi magnetici ecc…); viceversa, però, agendo su di essi possiamo modificare efficacemente il bioritmo circadiano quando esso è sfasato.

Il ciclo sonno-veglia, regolato dal ritmo circadiano della melatonina, è fondamentale per il mantenimento dei ritmi biologici di altri ormoni, quali il Cortisolo, il GH e ormoni sessuali come la prolattina, il testosterone e l’LH.

 

 


Figura 3. (Project Nutrition, A. Biasci 2015). La figura mostra i ritmi circadiani degli ormoni ipofisari sopra citati.

I ritmi biologici riguardano anche l’alimentazione, poiché non è importante solo ciò che mangiamo e beviamo ma anche quando lo facciamo. I nostri organi seguono determinati ritmi metabolici, e se vengono sovraccaricati di lavoro nelle ore meno idonee possono rispondere in maniera diversa da quella attesa. Le recenti scoperte riguardanti la regolazione neuro-ormonale del metabolismo ci consentono oggi di interpretare al meglio i meccanismi responsabili dell’aumento del peso e dell’accumulo di grasso corporeo in determinate zone. Gli orientamenti nervoso-ormonali hanno infatti un ruolo fondamentale nel tipo di distribuzione dell’eccesso di adipe e i principali ormoni coinvolti sono quelli sopra citati.

Gli ormoni sessuali, per esempio, avendo un’azione permissiva nei confronti dell’insulina (che è il vero ormone “ingrassante”), sono determinanti nella distribuzione del grasso corporeo: se il testosterone agisce sui recettori dell’addome e gli estrogeni sui recettori di glutei e cosce, ecco spiegata la tipica conformazione a mela (detta anche androide) nell’uomo e a pera (o ginoide) nella donna. Durante la gravidanza, infatti, l’elevato livello di estrogeni aumenta il numero di recettori dell’insulina su glutei e fianchi e se, come accade spesso, la donna assume cibi ricchi in carboidrati, i continui stimoli insulinici determinano con facilità accumuli importanti nella zona dei fianchi. La spiegazione del fenomeno risiede nella necessità, da parte del nostro organismo, di assicurare riserve energetiche alla mamma e al feto. Analogamente, la prolattina (ormone secreto durante l’allattamento) da un lato determina una riduzione dell’enzima lipogenetico nel tessuto adiposo localizzato su glutei e cosce, dall’altro aumenta i recettori insulinici nel grasso mammario, aumentando così il volume del seno e garantendo la riserva energetica durante l’allattamento.

Il cortisolo ha una duplice funzione sul metabolismo lipidico: un effetto lipolitico diretto e immediato per fornire energia sotto forma di acidi grassi, ed un eventuale effetto lipogenetico indiretto derivante dalla gluconeogenesi epatica a scapito delle proteine muscolari, dalla quale deriva una condizione di iperglicemia e dunque di iperinsulinemia. Uno stress prolungato nel tempo può portare così a una condizione di ipercortisolemia tale da determinare un accumulo di grasso nell’addome, soprattutto a livello viscerale, dove l’abbondante presenza di enzimi lipolitici rende l’adipe facilmente utilizzabile come fonte di energia. Purtroppo, l’ipercortisolemia cronica induce una resistenza dei recettori beta-adrenergici (recettori lipolitici comuni a tutti gli ormoni surrenalici) tale da rendere tale accumulo di grasso difficilmente utilizzabile negli anni. Un esempio è dato dalla Sindrome di Cushing, dove la quantità abnorme di cortisolo prodotta dalle surrenali porta a una distribuzione del grasso non solo a livello viscerale ma anche di viso e tronco, risparmiando invece gli arti.

Dunque risulta facile capire come “alterazioni” ormonali possano influire sull’accumulo di grasso e sulla massa muscolare, dove il principale incriminato risulta il cortisolo, che con il suo effetto catabolico sui muscoli e lipogenetico rischia di vanificare ogni tentativo di dimagrimento e di allenamento muscolare (tipico dei maniaci del fitness che seguono tabelle di allenamento troppo intense, dunque stressogene). A influenzare la secrezione di cortisolo, però contribuisce anche l’alimentazione: conoscendo il ritmo circadiano di tale ormone (figura 2) e conoscendo il suo effetto iperglicemizzante, l’assunzione di carboidrati al mattino a colazione è necessaria per smorzare la sua produzione (a patto che siano a basso indice glicemico, altrimenti l’innalzamento repentino di glicemia determina una situazione di ipoglicemia reattiva, dovuta all’eccessiva stimolazione dell’insulina e quindi un nuovo innalzamento del cortisolo). Viceversa, un pasto proteico stimola la produzione di cortisolo in quanto ormone capace di indurre gluconeogenesi epatica a partire dalle proteine. Nei soggetti che seguono abitualmente diete iperproteiche, soprattutto nella donna, la produzione di cortisolo va a inibire l’azione di ormoni “dimagranti” quali testosterone e HGH, contrastando ulteriormente la perdita di peso. Inoltre, si hanno ripercussioni sul benessere psicofisico dell’individuo poiché vi è un crollo del tono dell’umore e un continuo stimolo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surreni che può determinare vasocostrizione. Il tipico soggetto “sempre” a dieta, con la sua incapacità a mantenere un regime alimentare equilibrato e con il continuo passaggio da una dieta all’altra, non fa altro che generare un livello di stress metabolico continuo. Tutto ciò si traduce in un aumento del cortisolo (ipercortisolemia), che, oltre a determinare un andamento del peso a yo-yo, caratterizza il classico paziente “dietoresistente”, ovvero quel paziente che avendo provato svariate diete, senza mai riuscire a mantenere costante il proprio peso corporeo, si presenta con una situazione metabolico-ormonale totalmente sregolata, dimostrandosi incapace di ottenere i risultati tanto sperati col nuovo approccio alimentare.

BIOTIPI COSTITUZIONALI

Partendo dal presupposto che la distribuzione del grasso sia legata a fattori ormonali e che gli ormoni siano influenzati dall’alimentazione, l’approccio al dimagrimento dovrebbe tenere conto delle diverse “morfologie corporee” esistenti, ovvero dei diversi assetti ormonali-metabolici che possono favorire o meno accumuli di grasso localizzati.

Una dieta realmente personalizzata deve dunque tenere in considerazione il biotipo di appartenenza, dove con il termine “biotipo” non si intende solo la morfologia corporea ma anche la psicologia annessa, l’assetto immuno-neuro endocrino e come questi siano influenzati dall’ambiente circostante (relazioni sociali, stress psico-fisico e alimentazione). Il concetto di biotipo costituzionale, per quanto oscuro a molti, nasce migliaia di anni fa con Ippocrate, il padre fondatore della medicina occidentale, colui che coniò il detto “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”. Secondo Ippocrate, sostenitore di una natura umana in analogia con il Cosmo, vi sono quattro elementi fondamentali del Macrocosmo (Acqua, Terra, Fuoco, Aria), ai quali corrispondono quattro costituzioni morfologiche, ovvero quattro biotipi: Cerebrale (o nervoso), Bilioso, Sanguigno, Linfatico (figura 4).

Figura 4. La figura mostra i 4 biotipi Ippocratici.

A seguire ci furono altri tentativi di classificazione (figura 5), tra le più famose quella di Martiny che suddivise i biotipi sulla base delle prevalenze dei foglietti embrionali: ectomorfo, mesomorfo ed endomorfo. Citiamo anche quelle di Pende e Vannier, che fecero le loro classificazioni sulla base, rispettivamente, dell’aspetto endocrinologico e psicosomatico.

Elliot Abravanel nel 1999 propose la teoria secondo la quale le persone, salvo quelle in perfetto equilibrio, tendono a essere governate, da un punto di vista ormonale, da una delle quattro ghiandole endocrine principali: tiroide, surrenali, gonadi, ipofisi. Questi autori sostenevano che la prevalenza di tali ghiandole, a cui corrisponde una prevalenza ormonale, orientassero la scelta alimentare verso determinati cibi, in particolare quelli che “sostengono” quella ghiandola. Ma questa scelta, protratta nel tempo, porta a un’ipertimolazione della ghiandola che ne causa l’esaurimento, con conseguente abbassamento del metabolismo e accumulo di grasso.

Recentemente, Massimo Spattini, specialista in nutrizione e dietistica, integrando le antiche conoscenze di Ippocrate e le recenti conferme di Abravanel, nomina ha definito i 4 biotipi costituzionali (figura 4 e 6) sulla base dei caratteri morfologici e della situazione neuro-endocrino-metabolica, dalla quale dipende appunto la distribuzione del grasso nel soggetto in sovrappeso:

Iperlipogenetico (corrispondente al Sanguigno), con prevalenza del controllo da parte delle surrenali. Si tratta della classica morfologia Androide (a mela), tipica del genere maschile, con accumulo di grasso soprattutto nella parte centrale e superiore del corpo. Ippocrate li definisce soggetti stenici, caldi, ipertiroidei, ipercorticosurrenalici. In origine hanno dunque un buon metabolismo, tendono a mangiare molto e molti grassi, ma nel tempo tendono a iperstimolare la ghiandola predominante e determinare così una condizione di ipercortisolemia, che determina un aumento di glicemia (per gluconeogenesi epatica) e dunque una condizione iperinsulinemia con conseguente accumulo di grasso e degradazione delle proteine. In sostanza, si tratta di una sregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene da adeguamento funzionale. Tali soggetti otterrebbero buoni risultati da una dieta dimagrante, ma allo stesso tempo, se protratta per lunghi periodi, essa può determinare un’ulteriore fonte di stress tale da rendere inefficace il regime dietetico.

Ipolipolitico (corrispondente al Linfatico), con prevalenza del controllo da parte delle gonadi. È la classica morfologia ginoide (a pera), tipica del genere femminile, con accumulo di grasso su glutei, cosce e arti inferiori. Ippocrate li descrive come soggetti astenici, con le parti periferiche del corpo fredde, ipotiroidei, ipopituitarici e ipertimici. Tendono ad avere un metabolismo lento, al quale corrisponde un lento accumulo di grasso ma anche di liquidi date le difficoltà circolatorie. In questo caso la sregolazione riguarda l’asse ipotalamo-vago-insulina, cioè vi è una prevalenza del parasimpatico stimolatore dell’insulina oltre a un’iperproduzione estrogenica e ipoproduzione di testosterone. Tutto questo, sommato a un metabolismo tiroideo rallentato, riduce il metabolismo ossidativo dei grassi. Rispondono poco a una dieta dimagrante e fanno fatica a ridurre il deposito di grasso proprio nei principali punti di accumulo.

Ipermisto (Bilioso), con prevalenza del controllo da parte della tiroide. Ippocrate li definisce soggetti normo-longilinei, attivi, riflessivi, ipertiroidei, iperpituitari. Hanno dunque un buon metabolismo, in origine (situazione di pesoforma) si presentano come soggetti atletici e asciutti, con ossa piccole, arti lunghi, faccia ovale e vita alta, ma, in seguito a sregolazione ormonale o condotte alimentari sbagliate, accumulano grasso in maniera omogenea su tutto il corpo mantenendo però il girovita ben visibile e i polpacci magri. Possiamo quasi definirla una forma a peperone o clessidra.

Ipomisto (Cerebrale), con prevalenza del controllo da parte dell’ipofisi. Ippocrate li definisce soggetti longilinei, con pochi muscoli, apatici, malinconici, ipotiroidei e iposurrenalici. Hanno dunque un metabolismo rallentato, iperprolattinico e con scarsa produzione di HGH. In origine si presentano con un fisico quasi da bambino, con ossa piccole, spalle e torace poco sviluppati, scarsa muscolatura e testa quasi sproporzionata rispetto al resto del corpo. L’accumulo di grasso nel tempo si verifica a livello sottocutaneo in maniera omogenea, tipico appunto dei bambini in sovrappeso, con aspetto atonico e spalle spioventi.

Figura 6. La figura mostra i 4 biotipi ippocratici con relative raffigurazioni da mela (sanguigno), rettangolo (cerebrale), pera (linfatico), clessidra (bilioso).

Le persone sono, per la maggior parte, un ibrido di due o anche tre biotipi mentre i biotipi puri tendono a essere meno frequenti in Occidente rispetto all’Oriente, poiché i flussi migratori in Occidente hanno determinato una maggiore variabilità genetica.

 

 

ALIMENTAZIONE NEI BIOTIPI PER UN DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO

Dal momento che, come abbiamo visto, gli ormoni influenzano la distribuzione del grasso e che il tipo di alimentazione a sua volta influenza la produzione ormonale, vediamo ora quali strategie alimentari possono favorire quei fenomeni lipolitici “localizzati” tanto desiderati dal paziente medio.

1) Dieta del sanguigno

SI tratta del tipico soggetto da “caffè al mattino e via”, con un panino o un trancio di pizza al volo per pranzo, e cena in cui si divora qualsiasi cosa. Il tipico manager che non ha tempo per mangiare al mattino e demanda tutto alla sera, colui che ama padroneggiare sul lavoro e si trova a suo agio in situazioni di stress poiché alimentano la sua potenza corticosurrenalica, nutriti dunque da cortisolo e adrenalina. Peccato che questa loro tendenza, sia caratteriale sia alimentare, sia ciò che li condurrà a una condizione di sovrappeso certa. Lo stress, di cui si nutrono appunto, non fa altro che peggiorare la condizione ipercorticosurrenalica, generando picchi di cortisolo con relativi squilibri glicemici che causano un continuo accumulo di grasso a livello addominale. Si verificano così tutte le condizioni necessarie di una sindrome metabolica con aumento del rischio cardiovascolare-metabolico (infarto, ictus, diabete).

Il sanguigno ha in realtà un buon metabolismo tiroideo quindi un metabolismo abbastanza veloce, e da cui deriva il suo buon appetito verso i carboidrati, ma soprattutto i grassi, poiché precursori  degli ormoni della corteccia surrenalica (cortisolo, DHEA e androstenedione), ghiandola predominante in questo biotipo. Una sovralimentazione delle surrenali protratta nel tempo, però, induce uno sbilanciamento ormonale a favore del cortisolo che innesca un circolo vizioso di squilibri glicemici che portano all’iperfagia delle ore serali. Se sottoposti a una dieta dimagrante hanno infatti buoni risultati, ma il semplice fatto di dover sottostare a un regime restrittivo alimenta in loro il fattore stress, pertanto, se la dieta non ha la giusta compliance, è difficile che venga protratta nel tempo.

La dieta del sanguigno deve quindi riassettare l’equilibrio ormonale, rallentando le surrenali e stimolando la tiroide. Occorrono dunque carboidrati esclusivamente complessi e a basso indice glicemico (per stimolare la tiroide), pochi grassi, soprattutto i saturi e gli idrogenati (tipici delle carni grasse o conservate, dei formaggi grassi e dei cibi industriali), equilibrato apporto di proteine, che in eccesso stimolerebbero comunque un rilascio di cortisolo, ma in difetto non riuscirebbero a compensare il catabolismo muscolare indotto dalla fisiologica ipercortisolemia del biotipo in questione. È però importante, come accennato prima, distribuire tali macronutrienti in modo corretto nella giornata, sia rispetto al bioritmo del cortisolo sia rispetto al lato caratteriale del soggetto. In considerazione del naturale ritmo circadiano del cortisolo (figura 1 e 2), sappiamo anche che nel sanguigno tali livelli sono ancora più alti, soprattutto nella prima parte della giornata. Si corre, quindi, il rischio che, abbinando zuccheri semplici e grassi “cattivi” tra la colazione e il pranzo, vi sia un ulteriore stimolo a rilasciare cortisolo (che è già alto) con conseguente iperstimolazione dell’insulina (dunque del deposito di grasso a livello addominale), crisi ipoglicemica dopo pochi minuti e catabolismo muscolare per ricavare glucosio da rimettere in circolo. Dunque sarebbe bene evitare il classico cappuccio e brioche per colazione, ma anche il semplice caffè (che stimolando la surrenale contribuisce a elevare il cortisolo), pensando invece a una colazione come quella proposta dalla cronomorfodieta di Spattini: farina o fiocchi d’avena (30%), frutta secca (10-20%) e una quota proteica (50-60%) come dell’albume d’uovo o dello yogurt magro. Pranzo leggero in grassi (25%) e carboidrati (25%) e moderato in proteine (50%), per facilitare la digestione ed evitare la tipica sonnolenza postprandiale del trancio di pizza, verdure (cotte/crude), olio evo e pesce o carne bianca, con poche decine di grammi di carboidrato complesso integrale. Il pomeriggio costituisce un momento critico per il sanguigno, poiché il cortisolo fisiologicamente cala e con esso anche la glicemia, portando a una crisi di fame da carboidrati. Tuttavia, per evitare di creare ulteriori stimoli insulinici, l’ideale sarebbe uno spuntino con frutta secca e una tisana, in attesa della cena. È dunque importante confinare una buona quota di carboidrati a cena, momento in cui il sanguigno riporta maggiormente il desiderio di compensazione: abolirli del tutto, sulla base del fatto che potrebbero non essere utilizzati vista l’ora, causerebbe troppo stress nel soggetto, al punto da favorire fenomeni di iperfagia compulsiva nelle ore notturne. È forse meglio prevenire dando un piatto non troppo abbondante di carboidrati complessi “integri” (farro, orzo, segale, quinoa, sorgo, riso nero, per un 60-70%), con i quali in buona parte andrebbe a ripristinare il glicogeno muscolare, un assaggio di proteine (20%) e verdure a piacere, il tutto condito con olio evo come fonte di grassi (10-20%). Si nota dunque come la colazione riguardi solo il 25% dell’assunzione calorica giornaliera, per passare al 30% del pranzo e a un 45% della cena. Per quanto possa spaventare molti esperti del settore, una distribuzione di questo tipo sembrerebbe essere il giusto compromesso per assicurare un progressivo dimagrimento del soggetto sanguigno, dimagrimento che tende a coinvolgere soprattutto i distretti corporei superiori (addome e tronco) grazie al miglior lavoro da parte della ghiandola surrenale.

Il sanguigno risponde bene alla dieta tanto quanto all’esercizio fisico, tuttavia quest’ultimo deve essere ben misurata per non alzare troppo il livello di stress e quindi di cortisolo. Sono ideali 3 allenamenti settimanali da 45 minuti, concentrati soprattutto sull’attività aerobica-cardio (tapis roulant, cyclette) alternata però anche a esercizi anaerobici di tonificazione (circuiti o pesi), ma anche di flessibilità (yoga, pilates) con effetto antistress. Il momento migliore per allenarsi è la sera, dove i livelli di cortisolo sono più bassi e l’attività non rischia di aumentarli come accadrebbe invece al mattino. Inoltre praticare l’esercizio aerobico nel tardo pomeriggio, prima di cena, favorirebbe il consumo di grassi come fonte energetica.

2) Dieta del linfatico

Il linfatico è la tipica donna dai fianchi larghi e glutei ben formati sempre alla ricerca di diete dimagranti, disposta a regimi ipocalorici o iperproteici pur di non dedicarsi ad attività fisiche che stimolino il metabolismo a lavorare più velocemente. Ma anche in questo caso, come scopriremo, si tratta di atteggiamenti peggiorativi di una situazione che va affrontata invece in maniera opposta. Per strutturare il giusto regime alimentare bisogna innanzitutto tener conto delle ghiandole endocrine con effetto dominante sull’organismo, ovvero le gonadi. Il soggetto linfatico tende a produrre troppi estrogeni (nella donna) e poco testosterone (nell’uomo) e questa situazione si ripercuote sul metabolismo tiroideo, poiché l’eccesso estrogenico riduce la conversione del t3 in t4. Da imputare a questo deficit è il classico gonfiore alle gambe e alle caviglie, che non ha nulla a che fare con la ritenzione extracellulare da deficit circolatorio (con il quale rimangono segni se si esercita compressione), ma si tratta di accumuli di scorie e liquidi all’interno della cellula (si parla di mixedema).

In quanto ipopituitario, tale soggetto ha anche una scarsa produzione di GH, TSH, ACTH , tutti ormoni stimolatori del metabolismo. Possiamo dedurre quindi che l’approccio dietologico dovrà cercare di stimolare il metabolismo tiroideo fin dal mattino, potenziare la produzione di GH soprattutto nelle ore notturne e limitare la produzione di estrogeni (nelle donne) o potenziare quella del testosterone (negli uomini).

A colazione e a pranzo non devono mai mancare carboidrati complessi integrali sia per favorire la calma insulinica sia perché, contrariamente a quanto si crede, sono i principali stimolatori della tiroide: pochi carboidrati nella dieta non fanno altro che abbassare il metabolismo basale e rallentare ulteriormente la tiroide. Se poi la dieta viene fortemente sbilanciata verso le proteine, non soltanto vi è un sovraccarico della ghiandola in questione, ma si instaura anche una condizione di acidosi metabolica che, sommata alle difficoltà circolatorie del soggetto, favorisce l’evoluzione della cellulite. Ricordiamo che la cellulite è costituita da fibrocalcificazioni del tessuto adiposo a seguito di precipitazioni di cristalli di calcio in ambiente acido, con i quali si formano i noduli cellulitici.

Visto lo scarso metabolismo ossidativo dei grassi, il linfatico deve limitare i grassi saturi e idrogenati (carni grasse, insaccati, formaggi grassi, prodotti industriali da forno), concedendosi, sempre in misura limitata, quelli insaturi soprattutto omega 9 (olio evo) e omega 3 (noci, olio di semi di lino e pesci grassi pescati). Anche se da limitare, questi ultimi sono importanti sia per preservare la salute dell’endotelio dei vasi sanguigni (grazie al loro potere antinfiammatorio), sia per evitare che, in assenza di grassi nella dieta, vi sia un riassorbimento del grasso sottocutaneo accumulato nei distretti superiori, dove in realtà il linfatico non ha grossi depositi. Il risultato sarebbe un ulteriore assottigliamento della vita, del viso e del seno, lasciando invece intatti gli accumuli sui fianchi e glutei. Per favorire la perdita in queste sedi bisogna invece favorire l’eliminazione degli estrogeni in eccesso stimolando le funzioni epatiche attraverso gli omega 9 e 3, mentre i grassi saturi fungono da precursori degli estrogeni.

Nel linfatico le proteine vanno confinate in piccola parte a colazione (come lieve stimolo tiroideo) e in prevalenza a cena, dove invece i carboidrati vanno fortemente limitati per evitare stimoli insulinici troppo alti e favorire l’azione del GH notturno. Le proteine più adatte sono contenute in uova, legumi, latticini magri, pesce e carne bianca, da assumere in bassissima quantità. Salvo nel caso di soggetti che pratichino buona attività sportiva, si consiglia di non assumere carne rossa.

Possiamo quasi assumere che la composizione della dieta nel linfatico abbia una tendenza vegetariana, cioè ricca di verdure (poca frutta visti gli zuccheri) a pranzo e cena, accompagnate a pranzo da cereali integri (come farro, orzo, grano saraceno, segale, avena, quinoa, sorgo) e a cena da abbondanti proteine a scarso contenuto di estrogeni o loro precursori, il tutto contornato da grassi vegetali monoinsaturi (olio evo, di lino). A colazione, che deve costituire il pasto principale (30% dell’intero apporto) oltre al pranzo (45%), qualche fetta biscottata o dei muesli accompagnati da yogurt magro e un frutto sono perfetti.

Così come per la dieta, il linfatico fatica a ottenere risultati anche in palestra. Essendo più sviluppato nella parte inferiore del corpo e avendo un metabolismo lento, lo scopo dell’esercizio fisico deve essere quello di ripristinare una corretta proporzione tra i distretti superiori e inferiori e stimolare il metabolismo ossidativo. Deve dunque concentrarsi sull’allenamento aerobico per stimolare il metabolismo, che però allo stesso tempo non sovraccarichi troppo le gambe. Dunque sono ideali le attività aerobiche in acqua o le cyclette orizzontali o le camminate veloci sul tapis roulant (tutte attività che sostengono il ritorno circolatorio). Da non trascurare però anche l’allenamento anaerobico di tonificazione, che però deve riguardare principalmente i distretti superiori allo scopo di aumentare la massa muscolare metabolicamente attiva. Sono poco indicati gli esercizi che si concentrano solo sulle gambe (poiché porterebbero a produrre acido lattico e dunque ritenzione idrica e cellulite) mentre risultano ottimi gli esercizi a circuito o il sollevamento pesi per la parte superiore. L’allenamento dovrebbe durare almeno un’ora e con alta frequenza, meglio tutti i giorni, alternando le diverse attività. L’aerobico è più indicato per le prime ore del mattino e a digiuno (per favorire l’utilizzo dei grassi) mentre l’anaerobico nelle ore serali, dove è più facile favorire la secrezione del GH che aumenta le capacità lipolitiche ma anche la crescita tissutale.

3) Dieta del bilioso:

Il bilioso, sostenuto da un quadro ormonale ben bilanciato e un buon metabolismo tiroideo, è il tipico soggetto che tende ad abusare di carboidrati semplici, ma anche complessi (dolci, bibite gassate, pasta, pane, patate, pizza) rimanendo comunque asciutto. Ed è proprio questo abuso che nel tempo porta a un esaurimento delle ghiandole predominanti, ovvero tiroide e ipofisi, con conseguente rallentamento del metabolismo e carenza di GH e accumulo di grasso e cellulite su fianchi, cosce, addome. L’approccio dietologico deve quindi mirare a un abbassamento della quota di carboidrati privilegiando invece le proteine (a sostegno del GH) e i grassi (a sostegno invece delle surrenali nel produrre ormoni adrenergici e sessuali). Il bilioso, essendo soggetto a “cali di energia” e desiderio di zuccheri per tirarsi su, deve distribuire l’apporto calorico in maniera equa nell’arco dei tre pasti principali (33% colazione, 33% pranzo, 33% cena), con un equo rapporto tra i macronutrienti in ognuno di essi: 33% di proteine, 33% di carboidrati complessi integri, 33% di grassi. Una volta raggiunto il peso forma tale rapporto potrà ridistribuirsi a favore dei carboidrati complessi e a discapito dei grassi.

Al contrario del linfatico, il bilioso non deve temere i grassi saturi e le proteine animali: per lui sono indicate le uova (di cui può fare un uso più frequente rispetto al sanguigno e al linfatico) anche 3 volte a settimana, carne bianca e rossa e pesce. Carboidrati sempre complessi e integri, aboliti invece i dolci e gli zuccheri semplici, dunque poca frutta. Il tutto contornato da abbondante verdura fibrosa.

Dato il suo fisico armonico e proporzionato, ma con scarsa massa muscolare, il bilioso non necessita di allenamenti per la flessibilità quanto più di allenamenti anaerobici per la forza (circuiti e pesi): incrementando la muscolatura, infatti, stimolerà indirettamente il metabolismo “brucia grassi” e verranno stimolate anche surrenali e gonadi a produrre cortisolo e ormoni sessuali a sostegno della tiroide. Sono sufficienti 3 volte a settimana allenamenti da body builder e preferibilmente in tarda mattinata, quando il ritmo circadiano della tiroide la rende più attiva e pronta a rispondere agli stimoli metabolici.

4) Dieta del cerebrale:

Il biotipo cerebrale è il più raro, riguarda il 5% della popolazione ed è più diffuso tra i maschi. Trattandosi di soggetti ipopituitari, ovvero con rallentata funzionalità ipofisaria, abbiamo a che fare con una scarsa produzione di GH, TSH, ACTH, quindi anche di ormoni tiroidei, cortisolo e ormoni sessuali. Questo è ciò che conferisce la classica struttura “minuta”, ovvero viso angelico e poco squadrato, spalle spioventi, tronco poco sviluppato e, in caso di sovrappeso, grasso distribuito in tutto il corpo. Il punto debole del cerebrale sono i latticini e i carboidrati, di cui invece tende ad abusare, rallentando ulteriormente l’attività ipofisaria e aumentando la produzione di prolattina, inibitrice ulteriore di GH, testosterone ed estrogeni. Vanno quindi ridotti i carboidrati (limitandoli a cereali integrali complessi ed eliminando zuccheri semplici e cibi industriali) ed evitati i latticini e derivati (almeno come approccio iniziale), privilegiando invece le proteine della carna bianca/rossa, del pesce e delle uova, poiché in grado di stimolare la produzione di GH, la funzione surrenalica (ACTH e cortisolo) e di accelerare il metabolismo. Il tutto contornato da abbondanti verdure, mentre la frutta dovrà “aspettare”, come i latticini.

Considerando i ritmi circadiani, l’ipofisi tende a produrre ACTH, TSH e LH principalmente al mattino, mentre il GH viene secreto nelle ore notturne. Ciò significa che il cerebrale ha un buon livello di energia nelle prime ore del mattino, momento in cui dovrebbe consumare il pasto principale. La colazione, infatti, deve essere abbondante e riguardare il 40% dell’intero apporto giornaliero, a seguire poi il pranzo con un 35% e il restante a cena. Le proteine devono essere abbondanti a colazione (50% del pasto), ma dovendo evitare i latticini la classica colazione da “yogurt e cereali” non può andare, occorre considerare altre proteine animali quali carne, pesce e uova, da abbinare a un 25% di carboidrato integrale a basso indice glicemico e 25% di grassi (se non già contenuti nell’alimento proteico). A pranzo possiamo distribuire equamente i macronutrienti (33%, 33%, 33%), sempre scegliendo tra gli alimenti ben tollerati, mentre a cena il cerebrale dovrebbe comportarsi analogamente al linfatico, saziandosi con proteine (60%), verdure e grassi “buoni” (30%), eliminando definitivamente o quasi i carboidrati (10%) per stimolare la secrezione del GH. L’alimentazione del cerebrale è, quindi, molto particolare, sbilanciata verso le proteine. Questo non deve spaventare perché, salvo stati patologici o situazioni renali già compromesse, non ci sono evidenze scientifiche che un grande quantitativo di proteine sia pericoloso. Diverso è invece il caso di diete esclusivamente proteiche e lipidiche, ovvero le diete chetogeniche.

Per il cerebrale l’attività fisica deve avere una duplice funzione: da un lato aumentare la muscolatura della parte superiore del corpo per creare una migliore proporzione tra testa (che in origine sembra più grande del dovuto), tronco e parte inferiore; dall’altro trovare un contatto col proprio corpo e quella coordinazione mente-corpo che in questo biotipo vengono proprio a mancare, trattandosi di soggetti dediti più all’attività intellettuale che altro. Possono bastare 3-4 allenamenti alla settimana in cui si alternano esercizi di forza e coordinazione del movimento (slanci, girate, strappi), esercizi di potenziamento muscolare (sollevamento pesi) ed esercizi aerobici, ma allo stesso tempo poco monotoni (circuit training, step e variando anche tapis roulant ed ellittica). Essendo una persona mattiniera, il cerebrale si trova più a suo agio nel praticare attività fisica al mattino e, nel caso dovesse perdere peso, sarebbe meglio a digiuno, per stimolare il GH.

Conclusione

Le recenti scoperte riguardanti l’influenza reciproca tra alimentazione, sistema endocrino e nervoso ci aiutano a fare chiarezza sui meccanismi attraverso cui assunzione e composizione dei pasti siano in grado di influenzare il peso e la distribuzione del grasso di deposito, a seconda della condizione ormonale soggettiva. Dal momento che gli ormoni influenzano la distribuzione del grasso e che il tipo di alimentazione a sua volta influenza la produzione ormonale, le strategie alimentari necessarie per favorire quei fenomeni lipolitici “localizzati” tanto desiderati devono tenere conto del biotipo costituzionale del paziente, in modo da migliorare l’efficienza metabolica e ripristinare una situazione di “equilibrio ormonale” volto al mantenimento del peso corporeo. Tali regimi devono considerare non solo la composizione quantitativa e qualitativa della dieta, ma anche la distribuzione temporale degli alimenti all’interno nell’arco della giornata. È importante, infatti, considerare l’orologio biologico che governa i ritmi secretori di tutti quegli ormoni che esercitano funzioni metabolico-enzimatiche e che risentono della composizione dei pasti e dello stile di vita. L’aspetto morfologico costituzionale espresso dal Biotipo aiuta infatti a capire quali sono le ghiandole endocrine dominanti del paziente e quali deficitarie: solo così l’approccio dietetico, abbinato a un corretto esercizio fisico, potrà assicurare un dimagrimento “localizzato”.

Dott.ssa Elena Ariosto (Biologo Nutrizionista Sportivo)

Riferimenti bibliografici La medicina dell’aging e dell’antiaging. Damiano Galimberti, 2016

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  • Localizzazione del grasso, ormoni e pliche. Anna Merusi, L’accademia del fitness magazine n.23 Ottobre 2016
  • L’allenamento al femminile. Fabrizio D’Agostino, L’accademia del fitness magazine, n 21-22 Aprile-Luglio 2016
  • La dieta a zona: una questione di ormoni. Ivan Cuomo, L’accademia del fitness magazine n 20 Gennaio 2016
  • Medicina funzionale metabolica. Massimo Spattini L’accademia del fitness magazine n 19 Ottobre 2015
  • Regolazione ipotalamica della composizione corporea. Luca Speciani, L’accademia del fitness magazine n 14 Luglio 2014
  • La dieta del fitness. Lombardo C, L’accademia del fitness magazine n 1 Aprile 2010
  • The Nutrition Solution: A Guide to Your Metabolic Type Harold J. Kristal 2002
  • La cronodieta, Tecniche Nuove. Todisco M. 1991
  • Grasso localizzato. Massimo Spattini, Sportman & Fitness, aprile 1997.
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