Da qualche tempo a questa parte mi trovo spesso a ricevere domande o richieste di consigli – quando non di interventi psicoterapeutici veri e propri – da parte di coppie in crisi. Sarà dovuto anche a questa (infinita) pandemia che nell’ultimo anno e mezzo a mesi alterni ci ha costretti a quotidianità molto casalinghe, ma tant’è.
Che si tratti di richieste da parte di uno solo dei due partners o da parte della coppia tutta intera, sempre di crisi si parla. E, che arrivi immediatamente o che arrivi in un secondo momento, una delle domande più gettonate fra quelle che mi vengono rivolte è questa: “Ma lui, ma lei – Dottoressa secondo lei, eh – mi ama ancora o non mi ama più?”
La soluzione della crisi può sicuramente avere a che fare con la possibilità di rispondere a questa domanda, ma nella sostanza la causa della turbolenza nella coppia spesso con la presenza dell’amore c’entra poco, e comprenderlo è già un buon punto di partenza. Ma procediamo con ordine.
La terapia di coppia è una forma di intervento psicoterapeutico rivolto a entrambi i partners, etero o omosessuali, al fine di aiutarli a trovare in se stessi e nella coppia le risorse necessarie per superare momenti di difficoltà che ne mettono a dura prova le capacità di resilienza.
Non di rado, certo, ci si rivolge a un terapeuta anche per affrontare e accettare la fine del sentimento d’amore e/o della relazione, ancor più se in presenza di figli da gestire e da sostenere di fronte a cambiamenti spesso dolorosi. Ma quando la domanda è “Dottoressa, ma secondo lei quell’altro/a mi ama ancora?”, di finito c’è da ipotizzare che non ci sia ancora nulla se non, forse, la pazienza, davanti a una partita ancora tutta da giocare.
In questi casi, amo definire la terapia di coppia come quel percorso che permette ai due partners di re-imparare a conoscersi, sviluppando capacità di ascolto e di reciproca comprensione, nel bel mezzo di fasi di vita in cui i vecchi equilibri – che sicuramente hanno permesso di costruire la coppia fin lì, nel bene e nel male – sono giocoforza saltati e ci si ritrova con nel cuore il dubbio: “Ma mi ama o non mi ama?”.
Dubbio che il più delle volte nasce dalla difficoltà a comunicare… ed è questa la principale ragione per cui questa domanda è inadeguata e serve a poco o nulla. La domanda che serve, piuttosto, è “Ma il mio partner riesce a comprendere le intenzioni che guidano i miei comportamenti e i miei atteggiamenti? I miei gesti, le mie parole, sono compresi appieno nel significato che io vi attribuisco e che desidero trasmettere, o vengo frequentemente frainteso/a?”
E qui viene il bello!
Perché lavorare sulla comunicazione all’interno della coppia significa accettare che il partner possa avere modalità di stare al mondo diverse dalle proprie, nonché diverse modalità di interpretare se stessi e gli altri, di affrontare e risolvere i problemi, di reagire alle difficoltà. E dopo che tutto questo è stato accettato, diventa importante imparare a porsi con curiosità, disponibili ad accogliere e a comprendere le logiche sottese a tutti quei comportamenti e a quelle reazioni che hanno reso il partner fino a poco prima incomprensibile e inaccettabile.
Un lavoro sicuramente duro, faticosissimo. Ma che bello che è, quando da una vecchia coppia in crisi ne nasce una più “cresciuta”, forte, consapevole.
Molte coppie temono la terapia… Capitato a tutti, vero, di suggerirla ad almeno una coppia di amici e di sentirsi ributtati indietro “perché in qualche modo ce la facciamo da soli” e “non siamo matti”?
Eppure il momento migliore per cominciare un lavoro di “ri-scoperta” dell’altro sarebbe proprio il momento iniziale della sofferenza e delle incomprensioni, quando cioè la domanda “Ma mi ama o non mi ama?” è ancora solo sussurrata: quando, cioè, si discute con foga accendendo conflitti per questioni di scarsa rilevanza, che si spengono in fretta come cerini. Ma che lasciano in bocca quel sapore amarognolo della distanza, fosse anche infinitesimale.